giovedì 29 novembre 2012

UFFICIALIZZATO IL TERMINE DEL 4 FEBBRAIO 2013 PER LA DICHIARAZIONE IMU



Con il comunicato stampa n. 172 di ieri, il Ministero dell’Economia e delle finanze ha “ufficializzato” che l’attuale termine del 30 novembre per la presentazione della dichiarazione IMU relativa all’anno 2012, stabilito dall’art. 13, comma 12-ter del DL n. 201 del 2011 (conv. L. n. 214/2011), è posticipato al 4 febbraio 2013, poiché il 3 febbraio cade di domenica.
La nuova scadenza, è frutto della combinazione tra la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto 30 ottobre 2012, con il quale il MEF ha approvato il modello e le istruzioni per la compilazione della dichiarazione, e le modifiche presentate in sede di conversione in legge del DL n. 174/2012.
Infatti, in base al citato art. 13, comma 12-ter del DL n. 201/2011 convertito, i soggetti passivi devono presentare la dichiarazione IMU entro 90 giorni dalla data in cui il possesso degli immobili ha avuto inizio o sono intervenute variazioni rilevanti ai fini della determinazione dell’imposta, utilizzando l’apposito modello. La dichiarazione ha effetto anche per gli anni successivi, sempre che non si verifichino modificazioni dei dati ed elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell’imposta dovuta.
Inoltre, per gli immobili per i quali l’obbligo dichiarativo è sorto dal 1° gennaio 2012, la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata entro il 1° ottobre 2012, poiché il 30 settembre cadeva di domenica.
L’art. 9, comma 3, lett. b) del DL n. 174/2012, però, nel modificare quest’ultimo termine, ha fissato al 30 novembre 2012 la scadenza per la presentazione della prima dichiarazione IMU.
Con il comunicato di ieri, il Ministero dell’Economia ha quindi chiarito che l’ulteriore differimento al 4 febbraio 2013 si motiva con il “nuovo” art. 9, comma 3, lett. b) del citato DL, come modificato durante l’iter di conversione, che ha fissato il termine a 90 giorni dalla data di pubblicazione in Gazzetta del decreto che ha approvato il modello di dichiarazione IMU, avvenuta lo scorso 5 novembre.
Infine, si ricorda che il DL n. 174/2012, contenente disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012, dev’essere convertito entro il prossimo 9 dicembre.
Oggi, l’Aula del Senato ha, all’ordine del giorno, l’incardinamento del relativo Ddl. di conversione (A.S. 3570), dopo che, nella seduta di ieri, i relatori delle Commissioni Bilancio e Affari costituzionali, Carlo Sarro (Pdl) e Carlo Pegorer (Pd), hanno presentato un emendamento che sancisce lo “stop” ai privati nella riscossione dei tributi comunali, stabilendo che, a decorrere dal 1° luglio 2013, la riscossione delle entrate, anche tributarie, dei Comuni, delle loro Unioni, dei consorzi, nonché delle società o degli enti dagli stessi costituiti, dovrà essere svolta in gestione diretta ovvero esclusivamente mediante il Consorzio cui partecipano obbligatoriamente l’ANCI e i Comuni che non optano per la gestione diretta.
Stando alle indiscrezioni, il nuovo Consorzio, per quanto riguarda la riscossione coattiva, si avvarrebbe di Equitalia spa, che comunque opera in nome e per conto dello stesso Consorzio. L’obbligatorietà del Consorzio è però stata presa di mira dai sub-emendamenti degli altri relatori, per cui, ha spiegato Sarro, probabilmente si arriverà oggi in Aula a una formulazione diversa.

http://www.eutekne.info/Sezioni/Art_402215.aspx

martedì 27 novembre 2012

NUOVA IVA PER CASSA "IN CHIARO"


Con la circolare n. 44/2012, emanata nella tarda serata di ieri, l’Agenzia delle Entrate completa il mosaico relativo alla nuova IVA per cassa, di cui all’art. 32-bis del DL 83/2012, a pochi giorni dall’entrata in vigore della stessa, prevista al prossimo 1° dicembre. Dopo aver ricordato che l’entrata in vigore del regime in questione comporta l’automatica abrogazione della precedente IVA di cassa, di cui all’art. 7 del DL 185/2008, che si differenzia in quanto applicabile in relazione alla singola operazione, l’Agenzia riassume tutto il quadro normativo concernente la materia (oltre all’art. 32-bis, infatti, è necessario tener conto del decreto attuativo dell’11 ottobre 2012 e del provvedimento direttoriale del 21 novembre che ha fissato modalità e termini per l’esercizio dell’opzione).
Relativamente alle caratteristiche generali del “cash accounting” (termine coniato dalla stessa Agenzia), la circolare n. 44 ricorda che l’opzione esercitata dal soggetto passivo comporta il differimento dell’esigibilità dell’imposta di tutte le operazioni attive effettuate verso cessionari o committenti soggetti passivi all’atto del pagamento del corrispettivo (sia pure entro il limite massimo di un anno, salva l’ipotesi di assoggettamento a procedure concorsuali dell’acquirente o committente), nonché il corrispondente rinvio della detrazione dell’imposta sugli acquisti al medesimo momento di pagamento dell’imposta, fermo restando l’esercizio del diritto alla detrazione nei modi ordinari in capo all’acquirente o committente che non abbia optato per l’IVA di cassa.
Relativamente al limite massimo di volume d’affari, pari a 2 milioni di euro (cui concorrono tutte le operazioni, comprese quelle con IVA per cassa), l’Agenzia ricorda che tale soglia deve essere verificata nell’anno precedente, o per i soggetti che iniziano l’attività si deve aver riguardo a quello presunto, e che in caso di superamento in corso d’anno l’opzione cessa a partire dal mese o trimestre successivo, con la conseguenza che nell’ultima liquidazione deve essere computata sia l’imposta a debito, sia quella a credito ancora “sospesa”.
Per quanto riguarda il differimento della detrazione in capo al soggetto che esercita l’opzione, che riguarda tutte le operazioni passive, l’Agenzia ricorda che lo stesso sorge all’atto del pagamento del corrispettivo e comunque decorso un anno dall’effettuazione dell’operazione, e può essere esercitata secondo le condizioni esistenti in tale ultimo momento (effettuazione dell’operazione ex art. 6), così da evitare, precisa l’Agenzia, “che la percentuale di detraibilità spettante possa essere determinata in ragione del momento in cui il prezzo è corrisposto e, quindi, rimessa alla determinazione del cessionario/committente in regime di Iva per cassa”. Relativamente al termine ultimo per l’esercizio della detrazione, la circolare in commento precisa che la stessa può essere effettuata al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui è stato pagato il corrispettivo, in quanto è in tale momento che sorge il diritto alla detrazione.
In merito alle operazioni escluse, dopo aver evidenziato che, nell’ambito delle operazioni effettuate con i privati, non si deve tener conto di quelle effettuate con enti non commerciali, anche se utilizzate in parte per l’attività istituzionale, per le quali si rende quindi applicabile il regime di IVA per cassa, si conferma l’esclusione di tutte le operazioni per le quali si applicano regimi speciali (tra cui non sono ricomprese quelle per le quali è previsto un differimento dei termini di registrazione, come nel caso degli autotrasportatori, di cui all’art. 74, comma 4, del DPR 633772), di quelle “differiteex art. 6, comma 5, del DPR 633/72, in quanto già soggette ad IVA per cassa “a regime”, delle operazioni soggette a reverse charge e di quelle non imponibili (art. 41 del DL 331/93, e artt. 8, 8-bis e 9 del DPR 633772). Dal lato degli acquisti, oltre a quelle espressamente escluse (operazioni in reverse charge, acquisti intracomunitari, importazioni ed estrazioni dai depositi IVA), l’Agenzia ricorda che la detrazione per “cassa” riguarda tutti gli acquisti, sia pure in presenza di operazioni attive escluse dal regime in questione.
Infine, per gli adempimenti si conferma quanto già precisato dal provvedimento direttoriale del 21 novembre e, in particolare, l’obbligo di indicazione in fattura la dicitura “IVA di cassa”, l’opzione per comportamento concludente con vincolo triennale e l’entrata in vigore al prossimo 1° dicembre 2012, che costituisce un anno intero per coloro che opteranno sin dalla predetta data.

http://www.eutekne.info/Sezioni/Art_401734.aspx

INTERPELLI DEL MINISTREO DEL LAVORO IN TEMA DI SICUREZZA




Il Ministero del Lavoro, con l'apertura di una nuova sezione sul proprio sito internet (http://www.lavoro.gov.it/Lavoro/SicurezzaLavoro/MS/interpello/), il 22 novembre 2012 ha emanato alcune risposte ad Interpello in materia di salute e sicurezza sul lavoro, tra le quali:
  • formazione degli addetti al primo soccorso (Interpello n. 2/2012);
  • requisiti del personale destinato a lavori sotto tensione (Interpello n. 3/2012);
  • obbligo di designazione degli addetti al servizio antincendio nelle aziende fino a 10 lavoratori (Interpello n. 4/2012);
  • valutazione del rischio stress lavoro-correlato (Interpello n. 5/2012); 
  • valutazione del rischio e utilizzo delle procedure standardizzate ex art. 29, comma 5 del TU (Interpello n. 7/2012).

lunedì 26 novembre 2012

DAL 2013, INTEGRAZIONE PER TUTTE LE FATTURE RICEVUTE DA SOGGETTI COMUNITARI


Dal 1° gennaio 2013, sono previste rilevanti novità in materia di fatturazione, a seguito del recepimento della Direttiva n. 2010/45/UE.
Tra le principali novità contenute nello schema del decreto legislativo attuativo attualmente al vaglio del MEF, si segnala l’obbligo generalizzato di integrazione delle fatture ricevute da soggetti passivi comunitari. Le disposizioni degli artt. 46 e 47 del DL 331/1993 si applicheranno quindi non solo agli acquisti intracomunitari ex art. 38 del DL 331/1993 e ai servizi generici ex art. 7-ter del DPR 633/1972 – per i servizi generici, l’integrazione è stata resa obbligatoria dalla Legge 217/2011 (Comunitaria 2010), per gli acquisti effettuati dal 17 marzo 2012 – ma anche agli altri acquisti di beni e servizi da soggetti passivi comunitari rilevanti nello Stato, ai sensi degli artt. 7 e ss. del DPR 633/1972.
È stato inoltre introdotto l’obbligo di emissione della fattura per tutte le cessioni di beni e prestazioni di servizi non soggette ad imposta ai sensi degli artt. da 7 a 7-septies del DPR 633/1972, effettuate sia nei confronti di committenti soggetti passivi comunitari che di soggetti stabiliti fuori della comunità. Allo stato attuale, l’obbligo di fatturazione è invece limitato ai servizi generici non soggetti ad IVA ai sensi dell’art. 7-ter del DPR 633/1972, resi a soggetti passivi comunitari (obbligo collegato alla presentazione dell’Intrastat). L’obbligo di fatturazione sarà tuttavia escluso per le operazioni esenti di cui all’art. 10, comma 1, numeri da 1 a 4, del DPR 633/1972 (operazioni bancarie, finanziarie e assicurative) rese a soggetti passivi comunitari. L’obbligo di fatturazione nei confronti dei soggetti non comunitari dovrebbe riguardare anche le operazioni nei confronti di cessionari o committenti non soggetti passivi. Si pensi ai servizi non soggetti ad IVA ai sensi degli artt. 7-sexies e 7-septies del DPR 633/1972. Per i committenti comunitari, gli obblighi di fatturazione dovrebbero essere invece limitati alle operazioni nei confronti di soggetti passivi.
È prevista anche la modifica del momento di effettuazione delle cessioni e degli acquisti intracomunitari ex art. 39 del DL 331/1993. Tali operazioni si considereranno effettuate al momento dell’inizio del trasporto o spedizione dall’Italia (per le cessioni intracomunitarie) o dallo Stato comunitario di provenienza (per gli acquisti intracomunitari), fatte salve le fattispecie di differimento del trasferimento della proprietà (ad esempio, vendite con riserva di gradimento o a prova, ed i contratti estimatori). L’anticipato pagamento dei corrispettivi non sarà più rilevante, rimanendo invece rilevante l’anticipata emissione della fattura. In caso di cessioni o acquisti intracomunitari continuativi, si considereranno effettuati alla fine di ciascun mese.
Novità anche sulla registrazione degli acquisti intracomunitari
Novità anche relativamente alla registrazione degli acquisti intracomunitari ex art. 46, comma 5, del DL 331/1993. Il mancato ricevimento della fattura dovrà infatti essere regolarizzato entro il 15 del terzo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione anziché entro il secondo mese. In caso di fattura irregolare, la regolarizzazione è prevista entro il 15 del mese successivo a quello di registrazione della fattura anziché entro 15 giorni.
Innovativa è la possibilità di differire al 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione la fatturazione dei servizi generici ex art. 7-ter del DPR 633/1972 resi a soggetti passivi comunitari. In tal senso è stato modificato il comma 4 dell’art. 21. Per i “servizi individuabili attraverso idonea documentazione” effettuati nell’arco di uno stesso mese nei confronti di un medesimo soggetto, potrà essere emessa un’unica fattura entro il 15 del mese seguente. Si ricorda che per i servizi generici, differentemente dalle cessioni intracomunitarie, l’anticipata fatturazione non costituisce momento di effettuazione dell’operazione mentre rileva il pagamento di acconti.
Previste, inoltre, novità in relazione alla determinazione del volume d’affari ex art. 20 del DPR 633/1972. Concorreranno alla sua formazione anche le operazioni non soggette ai sensi degli artt. da 7 a 7-septies del DPR 633/1972, rese sia a committenti soggetti passivi comunitari che a soggetti stabiliti al di fuori della comunità. Tale inclusione potrà avere ripercussioni negative. Si pensi al caso degli esportatori abituali la cui qualifica si acquisisce qualora l’ammontare annuo delle operazioni con l’estero non imponibili supera il 10% del volume d’affari.
Si segnalano infine novità relative ai contenuti della fattura (art. 21 del DPR 633/1972). Sarà obbligatorio indicare anche il numero di partita IVA dei cessionari o committenti residenti ovvero il numero identificativo IVA dei soggetti comunitari. In caso di soggetti non passivi IVA residenti, nella fattura andrà indicato il codice fiscale.

http://www.eutekne.info/Sezioni/Art_401136.aspx

RIFORMA DEL CONDOMINIO A TUTELA DELLA DESTINAZIONE D'USO DELLE PARTI COMUNI


Oltre che regolamentare con il nuovo art. 1117-ter c.c. la possibilità (e la relativa procedura) di deliberare modifiche delle destinazioni d’uso delle parti comuni per soddisfare esigenze di interesse condominiale, la riforma è anche intervenuta sul tema, anch’esso delicato, della tutela delle destinazioni d’uso delle parti comuni.
Il nuovo art. 1117-quater c.c. stabilisce che, “In caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d’uso delle parti comuni, l’amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l’esecutore e possono chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie. L’assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attività con la maggioranza prevista dal secondo comma dell’articolo 1136”.
Quest’ultimo periodo, introdotto dalla Camera nel testo approvato il 27 settembre scorso e ora validato dalla Commissione Giustizia del Senato, invero, lascia un po’ perplessi, in quanto la delibera assembleare (che molto di frequente si renderà necessaria sia per intimare o ribadire la cessazione dell’attività che incide sugli enti comuni, sia per avviare le iniziative giudiziali a tutela, non essendo spesso sufficiente la semplice diffida all’esecutore da parte di singoli condomini o dello stesso amministratore) dovrà essere assunta con una maggioranza comunque qualificata quale è quella prescritta per la prima convocazione, ossia “con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà dell’edificio”.
La medesima maggioranza è stata prescritta anche dal nuovo art. 1122-ter, che regolamenta il delicato tema dell’installazione di impianti di videosorveglianza sulle parti comuni volti a consentire il monitoraggio delle stesse.
Anche gli articoli 1118 (Diritti dei partecipanti sulle parti comuni) e 1119 (Indivisibilità delle parti comuni) sono stati interessati da alcune modifiche, di forma e di sostanza, rispetto alla normativa codicistica sinora vigente.
Viene infatti codificato che “ Il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni”, ferma restando l’impossibilità – già sancita dalla normativa sinora vigente – di sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la loro conservazione, con la precisazione – aggiunta ora dalla riforma – che il sottrarsi agli obblighi di contribuzione non è ammessa “neanche modificando la destinazione d’uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali”. 
Circa invece il distacco dall’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, la riforma ha recepito l’indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato secondo il quale “Il condomino può rinunciare all’utilizzo (…) se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma”.
Circa l’indivisibilità delle parti comuni, già sancita dall’attuale disciplina con la previsione di una possibile deroga qualora “la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino”, la riforma conferma la normativa vigente codificando però anche la condizione che sussista “il consenso di tutti i partecipanti al condominio”.
La riforma incide in modo unitario anche sulla disciplina delle scale e degli ascensori (art. 1124 c.c.), prescrivendo che gli stessi siano mantenuti e sostituiti (nell’attuale norma, fra l’altro riferita alle sole scale, si diceva “mantenute e ricostruite”) dai proprietari delle unità a cui servono e che la spesa sia ripartita tra essi “per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l’altra metà esclusivamente in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo”.
Con l’inserimento di questo ultimo avverbio la riforma ha inteso mettere fine all’utilizzo di altri criteri, riscontrabili nella pratica, non esclusivamente proporzionali all’altezza dei piani dal suolo.

http://www.eutekne.info/Sezioni/Art_401179.aspx

REDDITEST, L'INTERVISTA A MAURIZIO LEO

 
“Il redditest è uno strumento di autodiagnosi che va compilato volontariamente e non vi è nessun obbligo o selezione. Non vi è dubbio che lo strumento per rideterminare il reddito dei contribuenti che hanno un tenore di vita elevato, è l’accertamento sintetico”. A pochi giorni dalla presentazione ufficiale del Redditest, Maurizio Leo, Presidente Commissione Parlamentare di Vigilanza sull’Anagrafe tributaria della Camera dei Deputati, analizza i punti di forza e di debolezza del nuovo strumento.
Sul redditometro si sono create molte aspettative e qualche timore; in particolare che lo strumento possa incidere sullo stile di vita degli italiani. Qualcuno ha anche teorizzato che lo strumento possa portare un’ulteriore spinta alla contrazione della domanda interna. Qual è la sua opinione al riguardo?
Oggi l'accertamento sintetico si divide in due tipologie: c.d. “puro” e da “redditometro”. Attraverso il redditometro l’Agenzia confronta il reddito dichiarato con un reddito stimato in base ad alcuni indicatori di ricchezza. Il principio alla base è che non può trascurarsi la capacità di spesa (il c.d. tenore di vita) quale elemento da considerare nella comparazione tra il reddito dichiarato e una stima della capacità contributiva. Nell’ambito del redditometro, i dati utilizzati sono già in possesso dell’Amministrazione Finanziaria che attinge all’Anagrafe Tributaria e ai dati generali dell’ISTAT. Infine, il redditometro è uno strumento di accertamento sintetico utilizzabile solo con determinate soglie di scostamento tra reddito dichiarato e reddito stimato dall’Ufficio (20% dal 2009, 25% prima) e consiste in una presunzione legale relativa, alla quale, cioè, il contribuente può fornire la prova contraria in sede di contraddittorio.
Il redditometro è uno strumento di accertamento e come tale non dovrebbe comportare un effetto immediato di contrazione dei consumi i quali si stanno riducendo, invece, per effetto della recessione e dalla crisi economica.
L’Agenzia delle Entrate guarda al Redditest come ad una cartina di tornasole, per individuare le persone fisiche che verranno selezionate per il c.d. redditometro. L’obiettivo è quello di stimolare i contribuenti all’adempimento spontaneo (compliance). Ritiene che questa modalità di procedere sia efficace ed efficiente in termini di recupero dell’evasione?
Tra la compilazione del Redditest e la selezione dei contribuenti per il redditometro non c’è alcun automatismo, né i dati inseriti nel software sono utilizzati dall’Amministrazione Finanziaria (come affermato dal direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera)
Più che recupero (diretto) dell’evasione, l'obiettivo principale è quello di creare una tax compliance tra Fisco e contribuenti, per fare in modo che il contribuente stesso, quando nota uno scostamento tra reddito dichiarato e ammontare della spesa, valuti la possibilità di “adeguarsi”. In questo senso si può parlare di recupero, indiretto, di imponibili altrimenti sottratti a tassazione.
Il Redditest è costruito facendo una elaborazione statistica dei dati su consumi e risparmi, già in possesso dell’anagrafe tributaria. La costruzione è stata fatta sulla base delle 11 tipologie di famiglie divise per cinque aree territoriali del Paese: sud, centro, nord est, nord ovest ed isole. Quali sono secondo lei i punti di forza ed i punti di debolezza di uno strumento così costruito?
Credo che il meccanismo alla base del Redditest possa ritenersi convincente perché nell’analisi delle spese delle famiglie è necessario distinguere anche in relazione all'area geografica. Pertanto, il meccanismo adottato fotografa meglio la coerenza del reddito dichiarato con elementi di spesa che si diversificano nelle diverse aree territoriali. Tra i punti di debolezza di questo strumento si rileva l’ingente massa di dati da inserire che, richiedendo la rilevazione da documenti, possono essere di difficile reperimento per il contribuente.
Come valuta la natura della risposta che il Redditest restituisce al contribuente?
La risposta attraverso un indicatore di massima (il colore rosso o verde), riflette proprio la natura del Redditest, che non è uno strumento di analisi puntuale ma che, funzionando per grandezze approssimate, restituisce come risposta solo la presenza di una posizione “a rischio” derivante degli scostamenti tra spese sostenute e reddito dichiarato. Al contrario, il redditometro, che è uno strumento per l’accertamento di eventuali maggiori redditi non dichiarati, deve determinare, in maniera puntuale, il quantum che l’Agenzia delle Entrate, previo contraddittorio con il contribuente, intende riprendere a tassazione.
Una volta che il contribuente è selezionato con il Redditest, si pone il problema di individuare lo strumento più adeguato per effettuare l’eventuale accertamento. L’Agenzia delle Entrate sembra orientata a dire che in questi casi lo strumento che verrà usato è, nella sostanza, sempre l’accertamento sintetico, ossia il redditometro. Ritiene condivisibile questa impostazione?
Il redditest è uno strumento di autodiagnosi che va compilato volontariamente e non vi è nessun obbligo o selezione. Non vi è dubbio che lo strumento per rideterminare il reddito dei contribuenti che hanno un tenore di vita elevato, è l’accertamento sintetico.

http://www.ipsoa.it/Articoli/link.aspx?ID=1103104&linkparam=In%20Primo%20Piano 

giovedì 22 novembre 2012

COMPORTAMENTO CONCLUDENTE NELL'IVA PER CASSA


L’opzione per l’IVA per cassa si desume esclusivamente dal comportamento concludente del contribuente, ed è comunicata nella prima dichiarazione IVA da presentarsi successivamente alla scelta effettuata, con la conseguenza che nessun modello ad hoc deve essere presentato da parte del soggetto passivo IVA.
Questa è la principale novità contenuta nel provvedimento direttoriale n. 165764, pubblicato ieri sera sul sito dell’Agenzia. Pertanto, coloro che intendono avvalersi del regime in questione già a partire dal prossimo 1° dicembre 2012, dovranno comunicare tale scelta nel modello IVA 2013 (quadro VO), relativa all’anno 2012, atteso che trattasi della prima dichiarazione annuale da presentarsi successivamente alla scelta effettuata che, come detto, si concretizza con il comportamento concludente. Al contrario, i soggetti passivi che (più presumibilmente) intendono optare per il regime di IVA per cassa a partire dal 1° gennaio 2013, dovranno confermare tale scelta nel modello IVA 2014, per l’anno 2013.
Su tale ultimo aspetto, tuttavia, non vi è particolare chiarezza, posto che sussiste un contrasto tra quanto indicato nel punto 1.2 del provvedimento, in cui si recita che la comunicazione è effettuata “nella prima dichiarazione annuale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto da presentare successivamente alla scelta effettuata” (e quindi nel modello IVA 2013, da presentarsi entro il 30 settembre 2013, sia per le opzioni con effetto dal 1° dicembre 2012, sia per quelle con effetto dal 1° gennaio 2013, in quanto trattasi in entrambi i casi della prima dichiarazione da presentarsi successivamente alla scelta effettuata), e quanto indicato nelle motivazioni al provvedimento, in cui si legge che “l’opzione o la revoca (...) dovranno essere comunicate nella dichiarazione Iva annuale relativa all’anno in cui è esercitata l’opzione e che il contribuente presenterà nel corso dell’anno successivo” (pertanto nel modello IVA 2013 per coloro che optano già dal 1° dicembre 2012, e nel modello IVA 2014 per i soggetti che optano dal 1° gennaio 2013).
È confermato, in primo luogo, che a seguito dell’opzione, nelle fatture deve essere riportata la dicitura di operazione effettuata con “IVA per cassa” (che appare non avere utilità, posto che la controparte può esercitare il diritto alla detrazione nei modi ordinari), e l’eventuale omissione dei tale dicitura costituisce, in ogni caso, una mera violazione formale.
Per quanto riguarda gli effetti dell’opzione, in linea generale, gli stessi decorrono dal 1° gennaio dell’anno in cui l’opzione stessa è esercitata, ovvero, in caso di inizio di attività nel corso dell’anno, dalla data di inizio dell’attività stessa. Limitatamente all’anno 2012, si precisa nel provvedimento, quale primo anno di applicazione del regime, gli effetti dell’opzione decorrono ovviamente dal 1° dicembre, come precisato dal DM 11 ottobre 2012, attuativo dell’art. 32-bis del DL n. 83/2012.
Effetti dell’opzione salvi anche in caso di dichiarazione “tardiva”
Relativamente alla durata dell’opzione, il provvedimento precisa che la stessa, una volta esercitata, vincola il soggetto passivo al mantenimento dell’opzione stessa per almeno un triennio, salvi i casi di superamento della soglia massima di volume d’affari in corso d’anno (2 milioni di euro), nel qual caso il regime, come disposto dall’art. 7 del DM 11 ottobre 2012, cessa a partire dalle operazioni effettuate a partire dal mese successivo a quello in cui il limite è stato superato.
Trascorso il triennio di permanenza nel regime, l’opzione si rinnova automaticamente per ciascun anno successivo, salva la possibilità di revoca espressa, da esercitarsi con le medesime modalità dell’opzione, ossia con il comportamento concludente (ritorno all’applicazione dell’IVA “ordinaria”) e con la comunicazione nella prima dichiarazione IVA da presentarsi successivamente alla revoca. In merito alla durata dell’opzione, è precisato che, per coloro che intendono optare già dal prossimo 1° dicembre 2012, l’anno 2012 è considerato per intero ai fini del computo del triennio, con la conseguenza che il regime cesserà il 31 dicembre 2014.
Infine, l’Agenzia chiarisce che, salva l’applicazione delle relative sanzioni, sono fatti salvi gli effetti dell’opzione, anche se la stessa è comunicata in una dichiarazionetardiva”, ossia presentata entro i 90 giorni successivi allo spirare del termine ordinario.

http://www.eutekne.info/Sezioni/Art_401151.aspx

mercoledì 21 novembre 2012

E' SUFFICIENTE ESSERE SOCIO PER DOVER PAGARE LA CONTRIBUZIONE ALLA GESTIONE COMMERCIANTI




La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 20268 del 19 novembre 2012, ribadisce che l'obbligo di versare la contribuzione alla gestione commercianti scaturisce anche dal solo ruolo di socio che il soggetto in questione riveste nella società e, nel caso in specie, a nulla vale la rivendicazione del ruolo di coadiutore familiare.
Con l'entrata in vigore della Legge n. 233/1990 infatti, precisa la Corte, l'obbligo di iscrizione alla gestione lavoratori autonomi e commercianti è stato esteso a tutti i soci della società a responsabilità limitata, versando i contributi sul reddito d'impresa: applicando il principio di estensione della norma, se l'obbligo sussiste per i soci di società di capitali vige anche per i soci di società semplice.

martedì 20 novembre 2012

OGGI ARRIVA IL REDDITEST


A partire da oggi, tutti i contribuenti che lo vorranno potranno misurare, da soli, la congruità tra il reddito dichiarato e le spese sostenute nello stesso periodo d’imposta. In mattinata, infatti, l’Agenzia delle Entrate presenterà il Redditest, strumento di compliance che permette di fare una verifica preventiva della coerenza tra spese e reddito.
Per effettuarla basterà scaricare il software, disponibile da oggi sul sito dell’Agenzia, e inserire i dati relativi al reddito dichiarato e alle spese sostenute. La verifica, come spiegato da Attilio Befera, Direttore dell’Agenzia, nel corso di una recente audizione in Parlamento, avverrà sulla base delle spese più significative e facilmente individuabili.
Ad ogni dato che il sistema chiederà di inserire verrà assegnato un coefficiente capace di misurare la relazione tra spesa e reddito complessivo, arrivando ad un risultato che terrà conto delle spese comuni (alimentari, abbigliamento, calzature, etc.) sostenute da una famiglia. Nel caso in cui dovesse esserci coerenza tra le due voci, si accenderà una luce verde. In caso contrario, invece, apparirà una spia rossa che, nelle speranze dell’Agenzia, dovrebbe indurre il contribuente a modificare la propria dichiarazione in modo da evitare l’accertamento.
Lo strumento, che ieri è stato presentato ai rappresentanti delle categorie professionali, è propedeutico all’introduzione del nuovo redditometro, ma non sarà un’autodenuncia. I dati inseriti, infatti, saranno noti solo al contribuente e non ne rimarrà alcuna traccia sul web.
Quanto al nuovo redditometro, di cui si attende ancora l’arrivo, ricordiamo che, come precisato dalla stessa Agenzia, si baserà su 100 voci di spesa riconducibili a 7 categorie (abitazioni, mezzi di trasporto, assicurazioni e contributi, istruzione, tempo libero e cura della persona, investimenti mobiliari e immobiliari netti e altre spese significative) ma non sui coefficienti di spesa (tutti gli acquisti conteranno solo per l’esborso effettivamente sostenuto).
Nel caso in cui le spese sostenute in quel determinato periodo di imposta dovessero eccedere di oltre un quinto il reddito dichiarato, l’Agenzia procederà con l’accertamento che, però, potrà essere effettuato solo dopo il contraddittorio con il contribuente, chiamato a giustificare la differenza tra reddito e spese.

http://www.eutekne.info/Sezioni/Art_401008.aspx

lunedì 19 novembre 2012

PERIZIA OBBLIGATORIA CON DATA CERTA PER LA RIDUZIONE IMU PER INAGIBILITA'


Tra le novità apprese con la pubblicazione delle istruzioni alla dichiarazione IMU, ve ne è una francamente inattesa, in relazione ai fabbricati inagibili e inabitabili. Per detti beni, infatti, ai fini dell’ottenimento della riduzione al 50% della base imponibile dei fabbricati inagibili ed inabitabili, in alternativa all’accertamento da parte dell’ufficio tecnico comunale, il contribuente deve dotarsi di idonea perizia, autocertificandone il possesso in sede di presentazione della dichiarazione IMU.
Ma occorre andare con ordine. Come noto, il DL 16/2012 ha introdotto all’art. 13, comma 3 del DL 201/2011 due specifiche situazioni che offrono al contribuente la possibilità di applicare alla base imponibile dei fabbricati una riduzione del 50%:
- il primo caso è quello legato ai fabbricati vincolati ai sensi dell’art. 10 del DLgs. 42/2004 (i quali, rispetto alla previgente disciplina ICI, perdono la tassazione sulla base della rendita figurativa);
- la seconda situazione fa riferimento ai fabbricati inagibili ed inabitabili, la cui situazione può essere accertata dall’ufficio tecnico comunale con perizia a carico del proprietario, che allega idonea documentazione alla dichiarazione, ovvero attraverso un’autocertificazione ai sensi del DPR 445/2000. A tale proposito, è opportuno ricordare che l’immobile, oltre che inagibile o inabitabile, deve essere anche non utilizzato. Da questo punto di vista è bene ricordare che deve trattarsi di una reale mancata utilizzazione, presupponendo di conseguenza, ad esempio, l’inesistenza degli allacciamenti alle utenze pubbliche (energia elettrica, acqua e gas, telefono). Ne consegue che non può beneficiare della riduzione l’unità immobiliare inagibile/inabitabile, ma di fatto utilizzata diversamente dalla destinazione originaria, come ad esempio un’abitazione che, viste le pessime condizioni, viene utilizzata come deposito.
Sulla prima fattispecie non si evidenzia nulla di particolare dalla lettura delle istruzioni, mentre sulla seconda riduzione l’estensore del modello dichiarativo ha introdotto un adempimento aggiuntivo per nulla trascurabile.
Sul punto, è bene ricordare che in passato, ai fini ICI (art. 8, comma 1 del DLgs. n. 504/92), veniva richiesta l’autocertificazione per attestare lo stato di degrado, mentre le istruzioni IMU recentemente approvate prevedono che il contribuente debba presentare un’autocertificazione “con la quale dichiara di essere in possesso di una perizia accertante l’inagibilità o l’inabitabilità, redatta da un tecnico abilitato”. Quindi, se egli non interpella il tecnico comunale (la cui perizia è comunque a carico del contribuente) per beneficiare della riduzione, comunque è chiamato a dotarsi di una specifica perizia di parte.
La differenza non è di poco conto. In passato, infatti, i contribuenti, non essendo necessaria la perizia, potevano invocare la riduzione al 50% con una semplice autocertificazione; posto che i casi più complessi potevano comunque rendere suggeribile avvalersi di un tecnico di parte per costituirsi un documento (la perizia appunto) con la quale difendere la propria scelta in sede di eventuale successiva contestazione da parte dell’Amministrazione comunale, in moltissime situazioni di conclamata fatiscenza del fabbricato il contribuente poteva evitare tale adempimento aggiuntivo, evitandone il relativo costo.
La perizia attestante lo stato di degrado risulterebbe sempre necessaria
Con l’avvento dell’IMU, invece, la perizia attestante lo stato di degrado del fabbricato risulterebbe sempre necessaria, anche nel caso di fabbricati fatiscenti, cadenti, pericolanti, ecc. Una complicazione (ed un costo) che francamente in molti casi risulta del tutto superfluo.
Inoltre, occorre osservare che, poiché l’autocertificazione serve ad attestare il possesso della perizia, pare evidente che quest’ultima debba esistere alla data di sottoscrizione di tale autocertificazione, ragion per cui, malgrado non sia esplicitamente richiesto, pare più che opportuno che il documento di stima del tecnico abbia data certa. Il che non significa obbligare il tecnico ad un’asseverazione, ma è possibile sfruttare uno degli altri sistemi che consentono di avere questa data certa (ad esempio, chiedere di recapitarla tramite PEC o plico raccomandato).
Infine, a completamento di quanto illustrato in precedenza, è bene evidenziare che l’obbligo dichiarativo per i fabbricati in questione sorge, come precisano le istruzioni, “solo nel caso in cui si perde il relativo diritto, poiché è in questa ipotesi che il comune non dispone delle informazioni necessarie per verificare il venire meno delle condizioni richieste dalla legge per l’agevolazione in questione”.

http://www.eutekne.info/Sezioni/Art_400859.aspx

venerdì 16 novembre 2012

IL NUOVO REDDITEST


Con il comunicato stampa dell’8 novembre scorso, l’Agenzia ha reso noto che il 20 novembre sarà presentato il Redditest, ossia il nuovo strumento di compliance che permetterà ai contribuenti persone fisiche di valutare la coerenza tra il reddito dichiarato e le spese sostenute nello stesso periodo d’imposta. In sostanza, il software serve a verificare preventivamente se il reddito dichiarato è coerente con le spese sostenute dal nucleo familiare.
In estrema sintesi, si ricorda che l’articolo 22, comma 1, del DL n. 78/2010 ha modificato l’articolo 38 del DPR n. 600/1973, disponendo che l’Ufficio può determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d’imposta. Il contribuente, in ogni caso, può dimostrare che il nucleo familiare possiede un reddito sufficiente per affrontare le spese. La determinazione sintetica del reddito complessivo è ammessa solo qualora il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno un quinto quello dichiarato. In pratica, riprendendo l’esempio fornito dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 25 del 19 giugno 2012, risposta n. 8.3, nel caso in cui il contribuente dichiari un reddito complessivo pari a 82mila euro, se il reddito accertabile sinteticamente risulta pari a 100mila euro, l’accertamento viene effettuato. Infatti, l’importo di 100mila euro è superiore alla somma tra il 20% di 82mila euro, che è pari a 16.400 euro, e 82 mila euro.
Va, altresì, ricordato che circa un anno fa l’Agenzia delle Entrate, illustrando le nuove regole del redditometro, ha precisato che vengono prese in considerazione oltre 100 voci, rappresentative di tutti gli aspetti della vita quotidiana, indicative di capacità di spesa, che contribuiscono congiuntamente alla stima del reddito. Le voci di spesa sono aggregate nelle seguenti sette categorie: abitazione; mezzi di trasporto; assicurazioni e contributi; istruzione; attività sportive e ricreative e cura della persona; altre spese significative; investimenti immobiliari e mobiliari netti. Una volta inseriti i dati nel software, la coerenza è segnalata da una luce verde, mentre una luce rossa indica un tenore di vita incoerente rispetto al reddito dichiarato e, quindi, il contribuente è invitato a rivedere la propria posizione reddituale per correre “ai ripari” al fine di evitare l’accertamento.
Tanto precisato, il contribuente deve valutare l’operazione da eseguire, atteso che deve procedere poi a redigere ovvero a rettificare la dichiarazione dei redditi, tenendo presente che l’accertamento sintetico si applica alle sole persone fisiche. Deve, in sostanza, ricercare i rimedi necessari per raggiungere la coerenza al Redditest, dichiarando un reddito sufficiente per sostenere le spese.
Per gli imprenditori individuali, l’adeguamento agli studi di settore, ad esempio, permetterebbe il raggiungimento dello scopo. Sempre in tema di rimedi, altra possibilità è data dalla tassazione frazionata delle plusvalenze e delle sopravvenienze attive. L’articolo 86, comma 4, del TUIR dispone che le plusvalenze realizzate concorrono a formare il reddito, per l’intero ammontare, nell’esercizio in cui sono state realizzate ovvero, se i beni ceduti sono posseduti da almeno tre anni, a scelta del contribuente, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro esercizi successivi. Per i beni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie, ai fini della rateizzazione della plusvalenza, devono essere iscritti come tali negli ultimi tre bilanci. In merito alle sopravvenienze attive, l’articolo 88, comma 2, stabilisce che i risarcimenti danni relativi a beni strumentali, classificati come sopravvenienze attive, che eccedono l’ammontare iscritto in precedenti bilanci, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di realizzo ovvero, a scelta del contribuente, nell’esercizio stesso e nei quattro successivi. Il successivo comma 3, lettera b) dello stesso articolo dispone che i proventi conseguiti a titolo di contributo o liberalità, anche in natura, costituiscono reddito nell’esercizio in cui sono stati incassati oppure in quote costanti nell’esercizio di incasso e nei successivi, ma non oltre il quarto.
Al fine che in questa sede interessa, tutte queste possibilità permettono di valutare se è conveniente imputare le plusvalenze e le sopravvenienze attive interamente in un periodo d’imposta ovvero in più periodi d’imposta. In pratica, ciò che l’imprenditore deve ponderare concerne l’aspetto economico e il rischio di ricevere un accertamento. L’aspetto economico attiene alla tassazione della plusvalenza o della sopravvenienza attiva in un unico periodo d’imposta, con conseguente esborso monetario non indifferente. Il rischio che l’imprenditore corre, invece, riguarda la possibilità di ricevere un accertamento sintetico, con possibili effetti economici negativi e superiori rispetto a quanto previsto in precedenza.
Da ultimo, si segnala che, se per l’imprenditore individuale potrebbe essere facile rimediare, ricorrendo a quanto suesposto, per la persona fisica non imprenditore la soluzione al problema è molto ardua, perché i mezzi a disposizione sono rari. 

http://www.eutekne.info/Sezioni/Art_400657.aspx

giovedì 15 novembre 2012

LE NUOVE REGOLE DEI CONTRATTI AGRICOLI VALGONO SOLO PER LA CESSIONE DI PRODOTTI


Le nuove regole dei contratti agroalimentari, in vigore dal 24 ottobre 2012, si applicano solo alle cessioni dei prodotti, con esclusione quindi dei servizi. È una delle risposte fornite, in via non formale, dal Ministero delle Politiche agricole sull’interpretazione della nuova disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari, prevista dall’art. 62 del DL n. 1/2012 (conv. L. 27/2012).
La domanda ha riguardato il servizio di ristorazione scolastica concesso in appalto a imprese che curano acquisto delle derrate alimentari, preparazione dei cibi e somministrazione dei pasti. In estrema sintesi, il Ministero ha ritenuto che la nuova disciplina non si applica ai servizi, ma occorre prestare attenzione all’oggetto dei contratti, se prevedono la cessione dei “prodotti alimentari” o l’acquisizione di uno specifico “servizio”.
Nell’attesa di indicazioni certe sulle nuove regole, è opportuno rimarcarne gli aspetti salienti. A decorrere dal 24 ottobre 2012, cioè dopo sette mesi dalla pubblicazione in Gazzetta della L. n. 27/2012, i contratti che hanno per oggetto la cessione dei prodotti agricoli e alimentari, a eccezione di quelli conclusi con il consumatore finali, devono essere stipulati (obbligatoriamente) in forma scritta e devono riportare, a pena di nullità, la durata, le quantità e le caratteristiche dei prodotti venduti, nonché il prezzo e le modalità sia di consegna, sia di pagamento. I contratti, la cui nullità può anche essere rilevata d’ufficio dal giudice, devono essere predisposti secondo principi di trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni, con riferimento ai prodotti forniti.
Di conseguenza, tra gli operatori economici, è vietato:
- imporre, direttamente o indirettamente, condizioni di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose, nonché condizioni extra-contrattuali e retroattive;
- applicare condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti;
- subordinare la conclusione, l’esecuzione dei contratti e la continuità e regolarità delle relazioni commerciali all’esecuzione di prestazioni da parte dei contraenti che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l’oggetto degli uni e delle altre;
- conseguire indebite prestazioni unilaterali, non giustificate dalla natura o dal contenuto della relazione commerciale;
- adottare ogni altra condotta commerciale sleale.
Il pagamento del corrispettivo va eseguito entro il termine di 30 giorni per i prodotti alimentari deteriorabili e di 60 giorni per tutti gli altri prodotti. Il termine decorre dall’ultimo giorno del mese di ricevimento della fattura, mentre gli interessi maturano dal giorno successivo alla scadenza del termine. Il saggio degli interessi applicabile è inderogabilmente maggiorato di due punti percentuali. Di conseguenza, sono stati abrogati espressamente i commi 3 e 4 dell’art. 4 del DLgs. n. 231/2002 e il DM (Attività produttive) 13 maggio 2003.
I “prodotti alimentari deteriorabili” rientrano in una delle seguenti categorie: prodotti agricoli, ittici e alimentari preconfezionati che riportano una data di scadenza o un termine minimo di conservazione non superiore a 60 giorni; prodotti agricoli, ittici e alimentari sfusi, comprese erbe e piante aromatiche, anche se posti in involucri protettivi o refrigeranti, non sottoposti a trattamenti idonei a prolungare la durabilità degli stessi per un periodo superiore a 60 giorni; prodotti a base di carne che presentano le caratteristiche fisico-chimiche aW superiore a 0,95 e pH superiore a 5,2, oppure aW superiore a 0,91, oppure pH uguale o superiore a 4,5; tutte le tipologie di latte.
Il regime sanzionatorio è duro. Infatti, salvo che il fatto costituisca reato, il contraente, a eccezione del consumatore finale, che contravviene agli obblighi della stipulazione scritta del contratto e degli elementi sopra indicati, soggiace alla sanzione amministrativa pecuniaria da 516 a 20.000 euro. L’entità della sanzione è determinata con riferimento al valore dei beni oggetto di cessione. Per la violazione dei divieti, invece, salvo che il fatto costituisca reato, il contraente (a eccezione del consumatore finale) è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 516 a 3.000 euro. La misura della sanzione è determinata con riferimento al beneficio ricevuto dal soggetto che non ha rispettato i divieti.
Il mancato rispetto, da parte del debitore, dei termini di pagamento è punito con sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 500.000 euro, salvo che il fatto costituisca reato. L’entità della sanzione è determinata in ragione del fatturato dell’azienda, della ricorrenza e della misura dei ritardi.
L’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato deve vigilare sull’applicazione delle nuove regole e irrogare le citate sanzioni, ai sensi della L. n. 689/1981. A tal fine, può avvalersi del supporto operativo della Guardia di Finanza.

http://www.eutekne.info/Sezioni/Art_400667.aspx